Sabato 5 marzo verrà a Sezze don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo che si sta occupando dei profughi prigionieri nel Sinai. L'appuntamento è per le ore 18 nella sede dell'associazione Araba Fenice, in via Garibaldi. Alleghiamo una breve nota per inquadrare il problema. Don Zerai - un sacerdote eritreo che vive a Roma, membro dell'Accademia Etiopica Pontificia e direttore dell'agenzia Habeshia, fondata per assistere i migranti africani in Italia - è il primo ad aver parlato in Italia della tragedia di queste centinaia di profughi (secondo la Ong internazionale Everyone addirittura 2000), in gran parte eritrei, ma anche etiopi e somali, prigionieri di bande di predoni beduini nel Sinai, nascosti in container interrati e incatenati l'uno all'altro. Giovani, donne, anche bambini tenuti in ostaggio in attesa di un riscatto: 8 mila euro a testa per essere liberati. Per chi non riesce a pagare, è la morte. E c'è ilsospetto che molti vengano sacrificati per alimentare il traffico internazionale clandestino di organi. Della vicenda si è parlato un po' e solo su pochi giornali, tra la fine di novembre 2010 e la metà dello scorso gennaio. Ora è il silenzio quasi totale:
senza esito gli appeli lanciati da don Zerai a tutta la comunitàinternazionale.
In particolare all'Italia e all'Unione Europea. In mancanza di risposte, ha organizzato una catena privata di solidarietà, alimentata da volontari che si stanno tassando per riscattare almeno i prigionieri più a rischio: donne incinte, ragazze, malati, bambini, ecc. Alcuni risultati si sono avuti: di recente ne sono stati liberati 25, che hanno raggiunto Israele. Ma è una goccia. E poi bisogna procedere con cautela per non alimentare questa specie di "mercato degli schiavi". E' chiaro - lo dice lo stesso don Zerai - che occorre scuotere la coscienza di tutti perché questa tragedia diventi un problema politico internazionale, anche se nel frattempo non va spezzata la flebile catena di solidarietà che ha cominciato ad attivarsi privatamente.
L'incontro di Sezze con don Zerai mira, appunto, a sensibilizzare gli animi e a far conoscere il problema a quante più persone possibile, per stimolarne la partecipazione.
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